Giselle, l’eternità di un mito

(parte seconda)

Un percorso a ritroso alla scoperta del celebre balletto attraverso la rilettura di registi, coreografi e danzatori

Seconda parte con la carrellata di articoli e note di regia su Giselle nella storia del balletto e delle sue riletture. In questa seconda parte, Letizia P. Ferrazzano ci porta a scoprire le grandi interpreti e non solo. (E se vi siete persi la prima parte, correte a leggerla qui).

Questo lavoro, che non ha la pretesa di essere esaustivo, è stato reso possibile grazie al materiale reperito nell’archivio personale della giornalista e critico di danza Carmela Piccione: un breve “excursus” sul balletto Giselle, dalla nascita sino ai nostri giorni, attraverso la voce di celebri protagonisti (poeti, scrittori, coreografi, registi, danzatori, critici, giornalisti, …).

giselle-percorso-a-ritroso

FANNY ESSLER, UN’INTENSITA’ MAI VISTA

“Dopo due anni dalla prima rappresentazione, si esibì nel ruolo di Giselle, Fanny Elssler. Ballerina drammatica per eccellenza, la Elssler spostò il fuoco del balletto dall’atmosfera sentimentale del II atto alla tragedia che si colloca al termine del primo. Chorley, il grande critico musicale, disse che la Elssler trasformò la romantica e dolcemente malinconica vicenda in un brano di tragica passione, di una intensità mai vista”.
(Ivor Guest, Giselle, Programma di Sala Teatro alla Scala di Milano, 2008-2009)

CARLA FRACCI, L’ETERNA “GISELLE”
“Naturalmente quali apporti abbia ricevuto Carla Fracci per raggiungere questi risultati, la lezione di chi (dalla Chauviré alla Spessivtzeva, per citare due grandissime ballerine di scuola e temperamento diversi) abbia colto è un discorso aperto. Così come sarebbe grave errore sottovalutare il contributo dei suoi Albrecht, da Bruhn con cui costruì il personaggio a Nureyev che l’impegnò in una recitazione continuamente stimolata atleticamente ed espressivamente, a Vassiliev che partendo da una diversa concezione e adeguandosi a quella della Fracci, la coinvolse in una coerenza nuova indimenticabile, dove ogni slancio e ogni moto dell’animo erano risolti in continuità coreografica”.
(Lorenzo Arruga, Perché Carla Fracci, Blow Up, 1974)

“Nel pieno dell’estate del 1959, Dolin mi volle a Londra per interpretare Giselle. Il mio primo tentativo di avvicinarmi a quel ruolo era avvenuto alla Scala il 5 luglio dell’anno prima in un’unica recita, come sostituta di Liane Daydée con la coreografia di Giovanni Coralli. Dopo la prima londinese il pubblico fu in preda alla follia. Dolin di solito impassibile, mi venne incontro commosso, mi si avvicinò al collo e mormorò: ‘Spessivteseva’. Poi mi abbracciò. Io piansi. Quella sera cominciò il mio viaggio per il mondo con Giselle aggrappata alla sua anima per sempre”.
(Carla Fracci, Passo dopo passo. La mia storia, Mondadori, 2013)

“Forse il pubblico ama Giselle per il desiderio che tutti abbiamo di partecipare a una saga d’amore con il suo inganno, la sua cattiveria e la sua redenzione. Più un sentimento è puro, più è riconoscibile e più facile abbandonarvisi, perdersi, fino ad identificarsi nella leggerezza di una ballerina. Il pubblico desidera questo. Nel secondo atto la ballerina è morta e lieve è il suo port de bras. Il pubblico la ama e consola il cuore suo e proprio.”
(Carla Fracci, Passo dopo passo. La mia storia, Mondadori, 2013)

ELISABETTA TERABUST, “GISELLE” PURA E NOBILE

“Quanto ad Elisabetta Terabust, quella di sabato è stata una serata fondamentale. Abbiamo assistito alla nascita di una nuova stella. Il suo secondo atto ha avuto momenti di straordinaria commozione. La Terabust arriva al cuore del pubblico con l’insieme della sua figura, così esile e patetica eppure pura e nobile. E soprattutto con il suo volto spirituale e gli occhi intensi e tristi. Se riuscirà a mettere a fuoco che la sua immagine è quella della spensieratezza, della gioia, della giovinezza, Elisabetta Terabust potrà divenire un giorno una grandissima Giselle”.
(Vittoria Ottolenghi, La Terabust in Giselle, Paese Sera, 12 febbraio 1968)

LA “GISELLE” DI PETIPA

“La Giselle di Petipa è alla base della versione che nel 1910 viene presentata a Parigi dai Ballets Russes interpretata da Tamara Karsavina e Vaslav Nijinsky, rivisitata da Michel Fokine. L’idea è di Alexander Benois, che nel 1885 aveva assistito ad una delle repliche pietroburghesi, anche se Diaghilev non è convinto. Il balletto si limita a suscitare un successo di stima, percepito forse come troppo tradizionale per una compagnia che entusiasma, anche perché portatrice di un’estetica rivoluzionaria profumata, di un sorprendente esotismo. Le prove vengono portate avanti con fatica, tra lacrime e incomprensioni, da due artisti di prima grandezza, ciascuno fermo nella propria idea di un ruolo appreso e sedimentatosi durante gli anni trascorsi presso la Scuola di danza dei Balletti imperiali di San Pietroburgo. Giselle fu l’occasione di un grande successo per gli interpreti principali, ma nulla di più”.
(Elena Cervellati, Strutture codificate e autonomie autoriali nel balletto tra Ottocento e primo Novecento: Giselle, Programma di Sala del Teatro dell’Opera, Roma, 2008 – 2009)

RIADATTAMENTO DEI CLASSICI E MODERNIZZAZIONE

“Chi era Giselle alle origini? Una giovane malata, pazza per la danza, che non poteva andare a lavorare con gli altri ragazzi e doveva essere tenuta a casa. Chi può essere, oggi, una creatura così? Può essere (nella splendida interpretazione di Ana Laguna) una diversa mentalmente, innocente e spudorata. In famiglia, come accade tuttora in tante pietose e dure storie contadine, bisogna tenerla legata in casa, perché non scappi, non si metta nei guai, e gli uomini non si approfittino di lei”.
(Vittoria Ottolenghi, La laicissima Trinità: Birgit, Mats e Cullberg, Balletto Oggi, dicembre 1985)

“Per chi ha visto la Giselle di Mats Ek, per chi ha in mente il movimento e l’espressione sempre mutevole e intensa di Ana Laguna, non deve essere difficile capire che Ana Laguna è Giselle. Un elemento di disturbo nel gruppo di ruvidi contadini della sua terra, ma anche nell’elitaria schiera di aristocratici non convinti della sua sensibilità senza freni inibitori”.
(Marinella Guatterini, Ana Laguna, la timida ribella, Balletto Oggi, dicembre 1985)

“A chi rimprovera la troppa chiarezza nei miei balletti che si rifanno, modernamente al grande repertorio, la mia Giselle, ambientata in uno ospedale psichiatrico, risponde al mio desiderio di rendere vivi i personaggi, con tutti i loro contrasti, e che la chiarezza, se non uccide il messaggio, è la porta per arrivare alla spiritualità. Giselle diventa un’eroina marginale, sensibilissima e con una salute delicate, amante della danza, un essere diverso insomma come le sue compagne di sventura, sepolte vive tra frustrazioni e amarezze. Nel caso di Giselle l’ho solo liberata dalle incrostazioni romantiche e sdolcinate che nascondevano agli occhi contemporanei la trama sociale del suo dramma che contiene una crudeltà e una violenza dissimulate secondo le convenzioni ottocentesche. Ma l’essenziale c’è sempre. La lotta delle donne contro il prepotere maschile. A mio avviso, comunque, il linguaggio classico è pieno di cliché, quello che cerco è un altro modo di vedere il genere umano senza per questo rifiutare il patrimonio del balletto accademico, ma trasformandolo dall’interno attraverso le scoperte della danza moderna sull’uso del peso del corpo e sul movimento del bacino. Ed è da qui che nasce una grande ricchezza di possibilità innovative e espressive”.
(Mats Ek, I grandi protagonisti della danza. Lo stile, l’arte, i segreti, De Agostini, 1992)

“La storia di Giselle è atemporale, anche se i testi di Gautier e Heine si situano chiaramente in un contesto preciso. Ho rispettato il canovaccio drammaturgico del I atto, ma ho escluso ogni convenzione teatrale. Non c’è più per esempio l’unità di luogo, ma una costruzione di ispirazione cinematografica. La mia Giselle non è davvero una nuova creazione, è semmai il risultato di una riflessione su come un balletto del repertorio possa ancora interpretare la vita. E per me Giselle non è una contadinella che muore per il tradimento di Albrecht, bensì per la perdita dell’amore”.
(Marinella Guatterini, Guillem alla Scala, Danza&Danza, marzo 2001)

“Non li considero un riadattamento dei classici. Il mio punto di partenza è piuttosto l’eredità culturale, un rapporto tra quello che sto creando e me stesso. Considero l’eredità culturale come un grande contenitore che rompo, ricompongo e riempio con i miei punti di vista. Quello che voglio analizzare è il vero punto di vista del Lago, di Carmen, di Giselle. Le favole raccontano sentimenti umani fondamentali. Amore, delusione, dolore, bontà, diventati ormai dei clichés. Se togliamo l’ovvietà si offrono nuovi percorsi interpretativi sia per il pubblico, sia per me”.
(Gunilla Jensen Mats Ek, artista dei nuovi classici nell’ambito di Reggio Emilia Danza, L’Astrolampo, 2002)

“Nel 1892 Mats Ek seppe trovare in Giselle una chiave di lettura giusta per i tempi. Con lui Giselle diventa una fragile e sensuale handicappata, sedotta, delusa anche nel desiderio di maternità, impazzita, rinchiusa in una casa di cura, dove i due suoi uomini, Hilarion e Albrecht, cercano di riportarla alla ragione e alla vita, senza riuscirci. Anche Maryse Delente ha dato vita nella sua Giselle ou le mensonge romantique ad una moltiplicazione della ragazza innamorata, come ossessione di ogni donna che ama troppo e desidera con frenesia l’immaterialità del corpo e della danza, superando i vincoli della carnalità e della società”.
(Elisa Guzzo Vaccarino, Programma di Sala, ParmaDanza, 2004)

“Mats Ek espunta ogni sua reverie romantica e riporta la vicenda del tradimento d’amore che può sconvolgere nella dimensione reale e scrive la sua empatica parafrasi del classico con quell’umanità sommessa e profonda che contraddistingue le sue coreografie”.
(Silvia Poletta, DelTeatro.it, novembre 2013)