Francesca Pennini al Balletto di Roma

Cronaca di un’esperienza

di Ada d’Adamo

Per chi suona il campanello?
Roma, martedì 15 dicembre 2015. DINNN! Al suono improvviso del campanello tutti i presenti – inclusa la sottoscritta – restano immobili nella posizione in cui l’imperativo sonoro li ha colti. Qualche secondo di “congelamento” e poi – nuovamente esortati dal campanello – il ghiaccio dei corpi si scioglie e si torna alla normalità.
Siamo in una delle sale del Balletto di Roma, dove dal 7 dicembre Francesca Pennini sta lavorando con i 13 allievi del corso triennale professionale di danza contemporanea nell’ambito del progetto “Prove d’autore XL”.
Il campanello – di quelli che si trovano nella reception degli hotel – è il mezzo con cui la coreografa mette alla prova la reattività dei ragazzi, la loro capacità di rispondere con prontezza a un comando semplice: restare immobili fino a quando il campanello non suonerà di nuovo. Un po’ strumento di persuasione un po’ bastone del comando, Francesca confessa candidamente di averlo usato anche durante la pausa del week-end, inviandolo a tutti tramite WhatsApp: un richiamo che si è propagato attraverso i cellulari irrompendo nella vita quotidiana di questi giovani danzatori provenienti da tutta Italia.

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Ideato dal Network Anticorpi XL, il progetto “Prove d’autore XL” offre a un coreografo emergente della scena contemporanea italiana un periodo di residenza con l’obiettivo di creare una breve composizione coreografica per ensemble. Alla fine del percorso è prevista una giornata di incontro durante la quale i partner del progetto e altri operatori invitati assistono all’esito della residenza e si confrontano sull’esperienza.
Siamo dunque al giro di boa: il 21 dicembre – data prevista per lo sharing – non è poi così lontano. La musica è in parte definita, alcune sezioni coreografiche sono già visibili, sono stati decisi i costumi. Ma c’è ancora molto da lavorare sulla memoria, sui “conti”, sull’esattezza della sequenza, sulla qualità dei gesti e della presenza…
Sono questi alcuni degli elementi intorno ai quali Francesca Pennini ha strutturato l’esperienza, a partire da una dimensione strettamente laboratoriale, che nei primi giorni si è rivelata indispensabile per conoscere i partecipanti, 12 ragazze e 1 ragazzo, estremamente diversi l’uno dall’altro per caratteristiche fisiche e background formativo.

Creature dei boschi, insetti giganti, trecce, tableaux vivants
Il materiale tematico di Candeo = I shine (questo il titolo del pezzo) ruota intorno alla figura della silfide, traendo ispirazione dalle diverse accezioni del termine: dalla dimensione scientifica – l’insetto appartenente alla famiglia di coleotteri “silfidae” – a quella mitologica – la creatura dei boschi della mitologia germanica alla quale il balletto ha attinto per costruire due celebri titoli del repertorio tra ‘800 e ‘900: La silfide di Filippo Taglioni (1832), emblema del Romanticismo in danza e il neoromantico Le silfidi di Michail Fokin (1909).
Le suggestioni tematiche hanno una ricaduta sulla pratica corporea: l’idea della leggerezza e del volo che normalmente si associano alla figura della silfide, che si solleva sulle punte per staccarsi da terra, suggeriscono la via del lavoro fisico, tutto incentrato sui passaggi di stato della materia – gassoso, liquido, viscoso, solido – indagati attraverso l’aria, la pelle, i muscoli, le ossa.
La silfide-insetto ispira l’ambientazione in una sorta di microcosmo dove piccole creature, ingrandite attraverso una lente, si trasformano in esseri giganti e un po’ paurosi.

Sylphide, Marie Taglioni 1832 Fonte: internet
Maria Taglioni in La silfide, 1832 | Fonte:Internet

Le scarpette da punta, che si vuole siano state usate per la prima volta da Maria Taglioni proprio nel ruolo della Silfide, invitano a far partire il movimento dalle punte dei piedi – gli alluci – per arrivare, con un pizzico di ironica irriverenza, alle punte (e alle doppie punte) dei capelli: un’associazione di idee quasi imposta dall’evidenza che tutte le ragazze del gruppo hanno i capelli lunghi.

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Proprio intorno a questa caratteristica Francesca Pennini costruisce un’azione in cui le interpreti, voltate le spalle agli spettatori, si fanno la treccia, mentre l’unico ragazzo detta loro il tempo con un imperioso count-down. Sull’“uno” la treccia deve essere finita, sullo “zero” le braccia ricadono lungo i fianchi. È uno degli obbiettivi di cui sono disseminati i lavori della Pennini e del suo CollettivoCinetico, in cui compaiono spesso, accanto alla dimensione ludica, quella atletica e ginnica. “Metabolizzate la gestione dei vostri capelli” suggerisce la coreografa, invitando le ragazze ad acquisire consapevolezza del proprio personale modo di compiere un’azione quotidiana con il senso di efficienza di una prestazione sportiva. “Riempite il vostro cervello di task costanti”, aggiunge.

Sylphides - 1909 Fonte: internet
Le silfidi, 1909 | Fonte:Internet

La storia del balletto ispira la costruzione formale del pezzo, sia nei gesti delle braccia, che rimandano alle tipiche pose della ballerina romantica, sia nella disposizione dei gruppi, partita dall’osservazione di alcune immagini d’epoca. Alla forma del languido tableu vivent, con tanto di polsi flessi, punte tese, sorrisi stereotipati e occhi sgranati, si arriva attraverso un progressivo depositarsi di segni corporei disposti nello spazio, aggiustati, manovrati e infine fissati nell’immobilità.

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Per un tempo determinato l’immagine resta ferma: perfetta, dorata, luminescente. Ma, come si crea, la forma si distrugge. Ecco allora che – attraverso il lavoro sui passaggi di stato corporei – Francesca chiede ai danzatori di rompere la forma creata. Un progressivo processo di svuotamento e di sottrazione trasforma l’immagine dei corpi facendola virare da un massimo di saturazione alla completa polverizzazione. “Come un cristallo colpito da un martello” dice Francesca, “un diamante prezioso ridotto in polvere”.

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Questo lavoro di destrutturazione della forma del balletto non si compie solo sul piano visivo e spaziale, ma anche a livello sonoro, intervenendo sulla dimensione temporale con l’utilizzo del popolarissimo Valzer n° 7 di Chopin (da Le Silfidi) in una forma rallentatissima, che ne lascia appena sopravvivere la cellula melodica.
Intorno a queste tematiche Francesca Pennini intende portare avanti un’indagine che approderà, il prossimo anno, alla nuova creazione intitolata (per ora…) Sylphidarium. Maria Taglioni on the Ground.

Uguale e diverso
L’unica presenza maschile del gruppo suggerisce opportunità interessanti sul piano formale. Una stessa sequenza all’unisono, per esempio, è eseguita dalle 12 ragazze in fila di fronte al pubblico, mentre il ragazzo è posizionato a una estremità, di spalle. I suoi leggings neri, in contrasto con le tonalità color carne della biancheria intima e dei collant delle ragazze (citazione dell’universo femminile di Vanessa Beecroft), gli conferiscono l’aspetto di un grande insetto; la sua posizione evidenzia le lunghe zampe scure e rende leggibili alcuni dettagli di movimento che non si coglierebbero guardando solo le danzatrici. Diversità nell’uguaglianza: nella mitologia germanica, del resto, esiste la figura del silfo, corrispondente maschile della silfide.

Beercroft, vb16 - 1999 Fonte: internet
Vanessa Beecroft, vb16, 1999 | Fonte:Internet

Spettatori danzanti
Roma, lunedì 21 dicembre 2015. Il direttore artistico e il personale del Balletto di Roma ci accolgono in un clima amichevole e informale. Ci sono gli operatori della Rete Anticorpi XL e altri ospiti, una ventina di persone in tutto. Un prologo – spiega Francesca Pennini – precederà l’ingresso nello spazio in cui assisteremo allo spettacolo.

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Spesso i coreografi preferiscono non scrivere nulla riguardo al loro lavoro per non influenzare la visione del pubblico. Francesca Pennini fa il contrario. Poiché vuole deliberatamente condizionare lo spettatore, non si limita a spiegargli a parole quello che sta per vedere, ma lo sottopone addirittura a una sorta di “programma di sala fisico”, che gli spettatori condivideranno con i danzatori: per entrambe le parti è un modo di entrare in contatto con la materia che, a breve, li vedrà protagonisti, gli uni in platea, gli altri in scena.
Uno alla volta, raggiungiamo una postazione stabilita, dove un accompagnatore ci prende in consegna, ci chiede di affidargli la borsa, ci invita a chiudere gli occhi.
Una sensazione di calore intorno al corpo, piccoli tocchi delle dita, mani che sfiorano e massaggiano, un venticello lieve ci accompagnano in una lenta camminata, come se passassimo attraverso un corridoio sensoriale. Verrebbe voglia di abbandonarsi a quelle piacevoli cure e quasi dispiace, alla fine, dover riaprire gli occhi.

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Recuperati i propri effetti personali, eccoci al nostro posto.
Sulla sedia ci aspetta un programma di sala, che questa volta è un “normale” foglio di carta, ma che – nella sua semplice fattura artigianale – ribadisce la ricerca di una modalità di comunicazione anomala rispetto alla “letteratura” che tradizionalmente accompagna gli spettacoli di danza contemporanea.
Nel formato analogico di un foglio A4 fotocopiato, Francesca Pennini impagina le informazioni sullo spettacolo utilizzando, con la naturalezza tipica dei nativi digitali, grafica, disegni e codici espressivi propri dei social network.
Il cancelletto, simbolo dell’hashtag, designa le tematiche del lavoro, sintetizzate attraverso altrettanti “indizi”. Uno di questi è il numero 12, una sorta di motivo ricorrente del pezzo: 12 sono stati i giorni di lavoro, 12 le danzatrici e 12 si intitola uno dei brani musicali utilizzati, opera del giapponese Asa Chang… Da 12 partiva anche il count-down urlato durante l’azione della treccia…

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Dal foglio di sala apprendiamo che il nome della creazione è diventato Undernatural, titolo che rispecchia l’essenza del percorso intrapreso e del suo esito più del precedente, definito infatti (ex) Candeo = I Shine.

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Talvolta le note di regia scritte dai coreografi contemporanei lasciano nel lettore una sensazione di disagio nel constatare la totale divaricazione tra dichiarazioni d’intenti ed esiti spettacolari. Qui, al contrario, la sensazione è che l’artista cerchi una prossimità con il pubblico, spargendo i semi della propria “attività cinetica” oltre i confini spazio-temporali dello spettacolo. Ne è un esempio la sua intensa attività su Facebook, dove con un post al giorno, porta avanti una sorta di diario di bordo del lavoro, disseminando indizi tematici, foto, frammenti video. Cosa che Francesca Pennini fa anche con i performer dei suoi progetti, chiamati a compiere azioni cinetiche mimetizzate nel flusso della propria vita quotidiana: in strada, in metropolitana, al supermercato. André Lepecki la definirebbe una “danza senza distanza”.

Identità multiple
Il progetto “Prove d’autore XL” prevedeva in partenza una creazione per sei danzatori. Con 13 danzatori a disposizione, Francesca Pennini ha sfruttato creativamente questa richiesta ricorrendo a un doppio cast: assistiamo al pezzo per due volte di seguito, con interpreti diverse, mentre l’unico ragazzo lo ripete, mantenendo lo stesso ruolo.
Per tutta la durata del workshop la coreografa ha lavorato sulla combinazione non preordinata dei gruppi, proprio per stimolare la capacità di adattamento di ciascuno al lavoro di relazione con gli altri.
Nel foglio di sala anche il doppio cast diventa occasione per costruire un ironico gioco intorno al tema dell’identità, inventando i nomi bizzarri di sei interpreti di fantasia, nati dall’accoppiamento di due metà dei veri nomi delle ragazze.

Exit
Dopo la visione dello spettacolo, lo scambio di pareri e commenti, le domande alla coreografa e ai danzatori, ci stiamo per congedare in ordine sparso quando… DINNN!!! Francesca Pennini aziona di nuovo il suo campanello magico immobilizzandoci come statue di sale.
Siamo tutti in suo potere: il potere dell’intelligenza e dell’ironia.

Roma, gennaio 2016