“Arcaico” | Intervista a Davide Bombana

Arcaico”, produzione del Balletto di Roma realizzata in collaborazione con Fabbrica Europa, è in partenza per il tour 2020, che si aprirà il 21 gennaio con la prima rappresentazione romana presso l’Aula Magna Rettorato della Sapienza Università di Roma, su invito della Iuc – Istituzione Universitaria Concerti.

Danza solenne di ancestrale armonia, la coreografia di “Arcaico” è a firma di Davide Bombana, coreografo e direttore di fama internazionale. In questa intervista, ci svela l’origine e alcuni dettagli della sua creazione, inedito incontro tra danza, pianoforte, percussioni e canto.

Da dove nasce l’idea di “Arcaico”?
È nata nel 2018, nel momento in cui ho ascoltato le musiche composte da Katia Pesti: uno dei suoi ultimi lavori, dal titolo “Abyss”, mi affascinava particolarmente perché alle composizioni, così evocative ed esotiche, si aggiungeva la voce di Gabin Dabiré, cantante del Burkina Faso. Il tono profondo di questa voce, che sembrava provenire da epoche primordiali, associato al pianoforte e alle percussioni, creava un’atmosfera per l’appunto ‘arcaica’. Ho poi chiesto a Katia altri CD, scoprendo pezzi bellissimi, e le ho chiesto di crearne delle nuove versioni con la voce di Gabin. È stata questa l’ispirazione dell’intero progetto: una rappresentazione corale, in cui ogni elemento – danza, suono e voce – ha lo stesso fondamentale ruolo.

Qual è il significato del titolo?
Ho scelto di utilizzare la parola ‘arcaico’ perché racchiude le sensazioni suggerite dai suoni: una sorta di viaggio a ritroso nel tempo con suggestioni di mondi lontani, dominati dall’istinto e dal corpo.

Musica dal vivo e danza: come si incontrano in “Arcaico”?
La musica ha qui un tale spessore da riempire da sé la scena, grazie anche alla presenza dei due artisti, Pesti e Dabiré, che ne ampliano il senso e il contenuto. Ad essa si aggiungono i ballerini che compiono di fatto l’unione tra corpo fisico e sonoro, usando non solo il movimento ma anche gli strumenti musicali e le loro stesse voci. Gabin riempie lo spazio con il canto, oltre che con i kalimba e i sonagli africani, e Katia suona il pianoforte a volte anche in modo percussivo, insieme ad altri strumenti: tutti diventano parte attiva dei movimenti di regia. C’è un rapporto serrato tra danza, ritmo e suono.

Cosa accade in scena?
Vediamo inizialmente un pianoforte e alcuni strumenti adagiati al suolo. C’è una figura femminile, forse una dea, con una maschera indù, evocativa e possente. I danzatori emergono dall’ombra e la loro danza è rito, solennità: si combattono, si amano, si lasciano. C’è una forte vitalità, costantemente nutrita dall’eterogeneità del gruppo e dalla mescolanza dei generi.

Che stile di danza vediamo in “Arcaico”?
Terrena, estremamente sensuale: è un linguaggio ‘umano’, morbido. C’è leggerezza e senso del volo, ma predomina il contatto con il suolo. E c’è poi un’atmosfera di mistero. I costumi sono ridotti al minimo, senza alcun riferimento ad epoche precise, e gli interpreti indossano talvolta delle maschere che accentuano l’aspetto arcano della loro danza.

La parola ‘arcaico’ contiene l’idea di un ‘processo’: a che tipo di evoluzione assistiamo in questo caso?
È visibile in maniera astratta, perché non c’è nulla di esplicitamente narrativo. Si assiste al cambiamento di questa piccola comunità in scena: all’inizio vediamo episodi separati (passi a due, a tre e di gruppo); c’è un tentativo di unione, ma anche il rifuto dell’altro in quanto ‘diverso’. Alla fine sarà proprio quest’ultimo, l’escluso, a riunire intorno a sé il gruppo: un’evoluzione ‘utopica’, per i tempi che stiamo vivendo. Forse un monito, o una speranza di rinascita e ritrovata unione.

C’è dunque un messaggio?
Credo che ogni opera d’arte risenta del tempo in cui viene alla luce. Pur rifacendomi ad epoche antiche e ad immagini astratte, ho forse sentito le problematiche di oggi, legate all’incomunicabilità e all’intolleranza, e le ho inconsciamente esternate insieme alle mie personali speranze. Più che un messaggio, espone il mondo nel quale mi augurerei di vivere.

Che lavoro ha svolto con gli interpreti per condurli in un’unica direzione creativa?
La musica è eseguita dal vivo, ma non ci sono improvvisazioni perché ho lavorato su pezzi di insieme e passaggi coreografici che richiedono canoni precisi. Nulla è casuale. Sono partito da uno schema musicale chiaro, sapendo esattamente come distribuire e ordinare i diversi pezzi.

E con i danzatori del Balletto di Roma?
Ho fornito loro una struttura dettagliata in cui muoversi; si sono adeguati da subito al mio stile, filtrandolo attraverso la loro personalità e rendendolo infine un lavoro corale. Credo, del resto, che la coreografia sia sempre frutto di un’azione comune, soprattutto quando si incontrano ballerini propositivi e quando il coreografo ne accoglie gli stimoli: è uno scambio meraviglioso tra persone che cercano e si muovono verso un unico traguardo.

I ballerini utilizzano anche la voce?
Sì. Nel CD di Katia Pesti che avevo ascoltato, ero rimasto colpito da un testo composto da pezzi di frasi pronunciate da voci femminili. Il primo effetto era straniante, ma queste voci dai timbri molto alti e questi frammenti di poesie mi piacevano molto. Mi sembrava un puzzle, in cui i tasselli venivano accostati senza far riconoscere il disegno finale. Così, sotto la supervisione di Katia Pesti, ho invitato le danzatrici ad imparare a memoria il testo, che per l’appunto viene ‘recitato’ in scena con le loro stesse voci.

Si è lasciato ispirare, per la coreografia, anche dalla forma degli strumenti: cosa l’ha colpita?
I ballerini non solo suonano, ma interagiscono con gli strumenti in scena. Ricorre la forma circolare: c’è un grande tamburo, simbolo di unità e infinito, così come i gong balinesi e altri strumenti più piccoli, tibetani. Mi ha ispirato la loro rotondità, la mancanza di spigoli, proprio per la simbologia del cerchio che nel finale sancisce l’unione tra tutti gli elementi.

C’è un sottofondo ‘magico’ in “Arcaico”?
La magia si avverte sin dall’inizio, quando i ballerini mascherati appaiono in scena con i gong e li suonano tamburellando con le dita. Sembra di assistere ad una processione che arriva da lontano per poi scomparire di nuovo. Si tratta di sensazioni: il tamburellare in sordina è simile ad un battito cardiaco. Il ritmo del tempo, dell’uomo e del mondo.

Cosa suggerisce al pubblico di “Arcaico”: come porsi di fronte a questo spettacolo?
La musica, nella sua singolarità, ha qui un ruolo importante e non può non affascinare lo spettatore. Allo spettacolo si aggiunge l’ulteriore dimensione della danza, morbida e sensuale, a metà strada tra la danza neoclassica e contemporanea. I danzatori del Balletto di Roma sono giovani e bravi, e con la loro bellezza rendono percepibile il senso di mistero che la musica già suggerisce. Tutto ritrova una propria unione: una mescolanza di elementi diversi che si realizza sempre di più, man mano che il balletto procede, accentuando l’armonia tra corpo fisico e sonoro.

Dal programma di sala “Arcaico – Balletto di Roma” (21 gennaio 2020), IUC Istituzione Universitaria Concerti – 75° stagione musicale 2019/2020: “Arcaico: il battito dell’uomo e del mondo. Intervista a Davide Bombana” di Lula Abicca (per gentile concessione della IUC).