Intervista a Giselda Ranieri in residenza creativa al Balletto di Roma | Prove d’Autore XL

Al Balletto di Roma, è iniziata da qualche giorno la residenza creativa di Giselda Ranieri, danzatrice, performer e coreografa, già nota sulla scena italiana e internazionale per lavori di grande originalità ideativa supportati da ipnotica e brillante abilità interpretativa. Nelle nostre sale, l’autrice sta conducendo le prove di un nuovo lavoro, frutto della sinergia tra il Balletto di Roma e il Network Anticorpi XL nell’ambito di Prove d’Autore, azione che offre ai coreografi emergenti della danza contemporanea italiana la possibilità di confrontandosi con la scrittura coreografica per ensemble di giovani danzatori di formazione accademica.
L’esito della residenza, il brano “Glitch: here we go again”, andrà in scena a Ravenna, il 19 settembre 2020, all’interno del Festival Ammutinamenti: interpreti della creazione, le danzatrici e i danzatori del C.A.P. del Balletto di Roma, Angelica Fioravanti, Matilde Valente, Simone Manzato e Marcello Giovani.
In questa intervista è la stessa autrice, Giselda Ranieri, a parlarci dei “lavori in corso” al Balletto di Roma svelando qualche anticipazione sul suo progetto creativo.

 

“Glitch here we go again”: questo il titolo del brano in preparazione al Balletto di Roma. Da dove nasce l’ispirazione?

“L’idea iniziale si è trasformata nel tempo ed è nata, si potrebbe dire, anche da ‘questioni pratiche’: quello che è successo – in Italia e nel mondo – ci ha portato a ripensare le progettualità ‘in corso’, quelle che avevamo ipotizzato e che non si sono potute realizzare. Ci siamo così ritrovati, nuovamente, ad iniziare dal principio. L’ispirazione è dunque racchiusa nelle due parti che compongono il titolo: ho immaginato un piccolo gruppo di persone (in questo caso un quartetto di danzatori) che condividono un movimento, una qualità, un ‘procedere’, intervallato da piccole divergenze di percorso…”.

Qual è il significato dell’espressione che hai scelto per il titolo?

“La parola ‘glitch’ rimanda a quel picco breve e improvviso, in forma d’onda, che avviene nel campo dell’elettronica, simile a quegli sbalzi di tensione che capitano a volte guardando la televisione. Un concetto che mi attraeva da diversi punti di vista: a livello fisico richiama delle ‘costanti’ del mio lavoro, come il gioco della stop-motion, del freeze o del loop, tutte quelle piccole divergenze di percorso che possono avvenire anche a livello di movimento; a livello immaginifico apre invece ad una visione che può connettersi a quello che abbiamo recentemente vissuto, senza alcuna pretesa o volontà di parlare esplicitamente del lockdown o dell’emergenza sanitaria”.

Come si traduce l’ispirazione a livello coreografico e performativo?

“È quello che stiamo scoprendo, gli interpreti ed io, in questi giorni in sala: dall’idea alla pratica, del resto, quello che più influisce sull’esito della creazione è l’incontro con le persone. Un aspetto, questo, che mi affascina particolarmente e che mi sta portando a scoprire le esperienze di questi giovani danzatori, per i quali il lavoro che stiamo conducendo insieme rappresenta il primo progetto dopo un lungo momento di stasi”.

Da qualche giorno sono iniziate le prove al Balletto di Roma: com’è stato l’incontro con gli interpreti?

“In occasione del primo giorno di prove ho chiacchierato con i ragazzi; mi interessava, prima ancora di iniziare a lavorare a livello fisico, sapere come avessero passato questo periodo di sospensione per cogliere fin dall’inizio qualche particolarità di ciascuno. Ovviamente, ognuno di loro ha avuto un approccio diverso alla situazione degli scorsi mesi e da questo è possibile trarre ispirazione per far luce sulle individualità. Mi piace molto lavorare con un senso di gruppo e, nello stesso tempo, su qualcosa che lasci emergere le particolarità dei singoli. In che misura questo accadrà dipende da quello che costruiremo insieme”.

Che tipo di lavoro state impostando?

“L’idea è di lavorare sia in quartetto che in solo. Nei primi giorni ho posto ai danzatori delle domande molto semplici su nuovi aspetti di sé o azioni scoperte in quest’ultimo periodo. Dalle loro risposte sono nati temi molto differenti tra loro, riguardanti la scoperta di nuovi piaceri – dello studio, della scrittura, della lettura, del suonare un nuovo strumento musicale – o di nuove modalità di relazione – con i genitori, gli amici, i colleghi. L’azione scenica che ne scaturirà potrà naturalmente essere lontana dal punto di partenza, ma è da questo approccio e dalle caratteristiche ‘fisiche’ di ognuno, nel senso di qualità di movimento o di reazione alle mie proposte, che stanno nascendo nuovi spazi di confronto e creazione”.

È la prima volta che crei per un ensemble di danzatori di formazione accademica?

“È la prima volta che lo faccio per un gruppo di professionisti. Ho avuto altre esperienze, in passato, in ambito formativo, ma è la prima volta che il percorso creativo con l’ensemble viene indirizzato ad un esito performativo di fronte al pubblico. E ne sono molto felice”.

Utilizzerai delle musiche in “Glitch: here we go again”?

“Mi piacerebbe che la musica venisse fuori dagli interpreti, dai movimenti e dalle loro voci (ci stiamo già lavorando, focalizzandoci suoi suoni, senza alcun testo specifico di riferimento). E probabilmente ci sarà anche un supporto musicale: è una decisione che prenderemo nel corso della creazione. Sto cercando per il momento di stare in ascolto anche delle loro “voglie” per trovare eventualmente una sonorità che, in alcuni momenti, possa ispirarli”.

Nelle tue creazioni hai spesso messo in atto la ‘composizione istantanea’. Di cosa si tratta?

“Al di là del mio specifico progetto di ‘instant composition’ (‘Blind Date’, in cui incontro un musicista, la sera stessa dell’esibizione, per un momento di composizione istantanea, ovvero di totale improvvisazione), in tutte le mie creazioni (per me stessa o sui gruppi) lavoro per ‘cerchi concentrici’: inizio con l’individuare una qualità che mi interessa e vado a specificarla senza ‘costruire coreografie’. Mi piace creare un immaginario molto specifico, un ritmo interiore, una musicalità o una qualità distinte, senza mai ‘costruire’ davvero i passi. Con la pratica, può capitare che alcuni movimenti si depositino più di altri, ma cerco comunque di creare un contesto chiaro nel quale sia possibile muoversi in maniera più libera. Quello che mi interessa dunque stimolare nei miei interpreti è un ascolto visivo, sonoro e percettivo a 360°”.

È la prima volta che lavori al Balletto di Roma: come stai vivendo questa esperienza e cosa immagini per il futuro?

“Sono elettrizzata. Ogni giorno è una scoperta: ho iniziato senza alcun preconcetto, nessuna idea prestabilita, per stare principalmente in ascolto di ciò che accade. Arrivo quotidianamente in sala con alcune proposte che, con il passare dei giorni, stanno dando origine ad un filo conduttore in via di sviluppo. Inoltre, mi trovo a perfetto agio con i ragazzi, che mi hanno accolto molto bene, e con la direzione del Balletto di Roma, sempre presente e allo stesso tempo rispettosa del lavoro e delle tempistiche. La speranza è per me, ovviamente, quella di costruire legami personali e reali che possano durare nel tempo, dando vita ad una collaborazione solida e di lunga durata”.

Cosa diresti al pubblico di Ammutinamenti per prepararsi alla visione di Glitch: here we go again”?

“Più che dire qualcosa al pubblico posso rivelare cosa mi piacerebbe portare al festival: un lavoro fresco, che sia portatore di una ‘gioia dei corpi’ e frutto della riflessione di questi giorni con i giovani danzatori del Balletto di Roma. In un certo senso, qualcosa che ‘non si prenda troppo sul serio’: un’occasione anche per gli interpreti, al di là dell’esito della performance, per condividere le proprie follie ed esigenze. E devo dire, che qualcosa sta già nascendo…”.